ST. JAVELIN
ST. JAVELIN
ST. JAVELIN
ST. JAVELIN

A project by Julia Krahn

Peace Flags

Portraits of Ukrainian refugee women

ST. JAVELIN is the latest project by Julia Krahn. The artist has invited Ukrainian refugees to tell their stories through images and interviews (available at the link below the photos).

ST. JAVELIN is the name given to a saint invented during the war, inspired by the missile “Javelin” sent to Ukraine in support of the resistance, which has become a symbol of the Patroness Madonna. This paradox of a mother holding a weapon, death instead of life, was the motivation that brought Julia Krahn closer to Ukrainian women.

The only weapon that the artist intends to use is empathy, hence the choice to insert a self-portrait in the project. The artist has in her hands her weapon, the button of the camera and invites the refugees to do the same, describing their weapons of daily resistance, made to build and never to destroy. A mother would never choose war for her children.

“I’m not talking about the war, its impossible reasons for existing or who’s keeping it burning, but the people who are suffering it. Regardless of thought, position or status, they fled to save their children and left their husbands behind. In addition to propaganda there are real people. Each one with their own story. I welcome in the studio those who want to share theirs.” (JK)

The project was realized in collaboration with Associazione Festivà, Camera dei Deputati, Museo Novecento Firenze, Paxos Biennale, PhEST Festival, Stiftung Garnisonkirche Potsdam, Ukrainian Canadian Congress.

We thank Municipality of SorrentoAssociazione I Penultimi and Hilfswerk Siedlung GmbH for their support.

exhibitionS

Current exhibitionS

Past exhibitionS

Stiftung Garnisonkirche – Potsdam (DE)
Feb 22 – Apr 9, 2023

Elegia per la Pace / Montecitorio – Roma (IT)
Feb 24 – Mar 8, 2023

Museo Novecento – Florence (IT)
curated by Sergio Risaliti
Nov 25, 2022 – Jan 29, 2023

Festival PhEST – Monopoli (IT)
Sep 9 – Nov 1, 2022

Ukrainian Independence Day – Montréal (CA)
Aug 24, 2022

Paxos Biennale – Paxos (GR)
Jun 4 – Oct 1 2022

ST. JAVELIN – Sorrento (IT)
May 27 – Jul 3, 2022 / extended Oct 3, 202

ALEKSANDRA (8 march)

MARINA (Motherhood)

LESYA (Disarmament)

JULIANA (Palianytsia)

Viktoria and Zlata (Peace)

JULIA (Culture)

“I allowed myself to wear blue like the women I have portrayed, precisely because I perceive my job as a very important weapon against war.

Culture is like a fertile land, where life grows well.

Art has always created bridges between different worlds and thoughts. It knows how to go beyond war.

It is witness, memory but also revolution, vital energy.

In the last few weeks I’ve been like this, all blue.

I suffer with the women and their country. I also try to protect myself, mostly from the media and ignorance. But I’m not afraid. I defend myself with what I know how to do, my art, the self-timer.

Because to look at the world with open eyes, I believe we must first look inside, deeply. “

Main sponsors

Technical sponsors

In collaboration with

Want to know more?

For information on the exhibition and the artist, fill out the form below with your data.

ALEKSANDRA (Mimose)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Alexandra sono di Rivne, nel Nord Ovest dell’Ucraina. Ho 27 anni e un figlio di 7. Prima della guerra lavoravo alla reception di un grande albergo con ristorante. Il mio lavoro mi piaceva.

Il 28 febbraio, cioè il quarto giorno di guerra, siamo andati in macchina dai miei parenti a Ivano Frankivsk, che è più vicina al confine. 

Il giorno dopo siamo partiti in autobus per Wroclaw, nell’ovest della Polonia. Siamo arrivati alla frontiera alle 7 del mattino. Abbiamo dovuto aspettare 15 ore, perché c’erano più di otto autobus con donne e bambini in fila. A mezzanotte abbiamo raggiunto la nostra destinazione. Avevo ordinato i biglietti aerei e la stanza per me e mio figlio già dall’Ucraina. Scendendo dall’autobus, ho trovato un taxi che ci ha portato all’ostello. Siamo stati in Polonia per 3 notti e l’8 marzo abbiamo preso l’aereo per Napoli. Ora vivo a Meta di Sorrento. 

Tutta la mia famiglia era già qui in Italia, solo mia nonna era rimasta li. Ci sentivamo sempre per telefono. Mi calmavo solo dopo aver sentito la sua voce. Il giorno in cui è iniziata la guerra vivevo la mia solita routine, come la maggior parte delle persone. Fino alla fine nessuno credeva che sarebbe davvero accaduto. D’altronde abbiamo sempre vissuto in tempo di pace. 

Ricordo il suono inquietante delle sirene e l’affollamento delle persone nel rifugio, allo stesso tempo confuse e sovraeccitate. Ricordo che per venire in Italia c’era un posto di blocco ad ogni incrocio della città, con controlli infiniti fino alla partenza. 

Ho nostalgia degli incontri con amici e parenti e so che non sarà mai più come prima. Qualcuno di loro è andato a combattere, qualcuno è morto e di qualcuno non si hanno più notizie. Io mi sono trasferita in un altro paese come le persone con cui ho passato la maggior parte della mia vita. Nessuno di noi sa se ci rivedremo ancora. 

Io e mio figlio abbiamo preso solo il necessario: alcuni vestiti e i documenti. Tutto stipato in una piccola valigia. Poi ho preso la mia croce; senza non andrei da nessuna parte. Io e mio figlio ce lo ripetiamo sempre: è il nostro amuleto, che ci ha protetto da tutto ciò che di brutto avremmo potuto incontrare nel viaggio. 

Sai cosa penso? Che il ripristino della pace e della tranquillità deve iniziare soprattutto dall’animo umano. La pace è un grande valore, l’oggetto delle nostre speranze a cui tutte le persone dovrebbero tendere. La guerra inizia con l’ intolleranza verso gli altri, verso le differenze. È quello che porta al desiderio di onnipotenza e di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo, dall’egoismo, dall’orgoglio e dall’odio che distorce la visione del mondo e la pone sotto una luce diversa, negativa. La sfiducia e la paura danneggiano i rapporti tra le persone e aumentano il rischio di violenza, creando un circolo vizioso che non potrà mai portare a rapporti pacifici. Deriviamo tutti da un’origine comune, da Dio. La volontà di riportare la calma e la pace deve partire da ciascuno di noi. 

Devo confessarti che a breve termine mi immagino ricca. Non mi vergogno di dirlo. Ricca non solo sul piano materiale, ma con una vita piena di accadimenti, grandi traguardi, con le piacevoli preoccupazioni di ogni giorno. Mi arricchirò cercando nuovi amici, con la famiglia che ho già vicino a me, in tutta sicurezza. Mi immagino felice, con un sorriso fiducioso, perché ho fiducia che tutto andrà bene. Sogno, come tutti, che nel mio paese non ci sia più la guerra, che le persone non muoiano. So che non tutti i miei sogni potranno avverarsi in una volta, ma voglio immaginare che tra un mese nella mia vita non ci saranno più queste lacrime di dolore e miseria! 

Tutti dovrebbero capire che la guerra influenza la vita di ciascuno nel profondo. In un istante tutto può cambiare. Chiunque abbia dei progetti o delle ambizioni o dei sogni per il futuro, si ritrova a doverli mettere in secondo piano. Quando nella tua patria volano proiettili, esplodono bombe e i missili colpiscono edifici residenziali, si pensa solo a sopravvivere e a mantenersi in salute, e il futuro non ha più certezze a cui appigliarsi. Invece tutti dovrebbero poter avere fiducia nel domani. In ogni caso, è necessario rivedere i valori delle nostre vite, ovunque ci si trovi. Perché oggi nel mondo non prestiamo abbastanza attenzione a ciò che invece, in momenti straordinari come una guerra, diventa fondamentale. L’amore, l’ attenzione e la sensibilità verso gli altri, verso chi ci circonda. 

Io non arrivo proprio a capire come gli uomini e le donne del XXI secolo non riescano a risolvere le questioni in maniera pacifica, senza lacrime o spargimenti di sangue e morte. Dio ha dato a tutti il diritto alla vita. Il tempo che abbiamo è così breve. Siamo sicuri che vogliamo sprecarlo tra conflitti e guerre, invece di viverlo in comprensione e armonia reciproche? 

Quando ero a casa, all’inizio della guerra, passavo dalla paura alla disperazione, poi all’ ansia e infine all’incertezza. Sensazioni che prima non avevo mai provato fino in fondo. Era terribile la sensazione di impotenza, non saper decidere nemmeno dove andare o cosa fare. 

Ora mi sento molto meglio. Dormo più tranquilla, sapendo che tutti i miei parenti sono al sicuro vicino a me. Sono grata al Paese che mi ha dato rifugio e a tutte quelle persone che ho sentito simili a me, che mi hanno affiancato in quel momento difficile. Loro mi hanno sostenuto e aiutato a stabilizzare il mio stato d’animo, a ritrovare la fiducia e i punti di riferimento, a riprendere una direzione nella mia vita, che mi permetta di capire cosa devo fare per avere un domani migliore!”

MARINA (Maternità)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Marina e ho 32 anni. Vengo da Vinnyatsia, nell’Ucraina occidentale. Prima della guerra sono diventata madre per la seconda volta. Quando siamo scappati dalle bombe la più piccola aveva solo 4 mesi.

Ho guidato per quattro giorni e attraversato quattro paesi diversi per arrivare in Italia. Il resto della famiglia è rimasto in Ucraina. Ogni mattina chiamo mio marito e i miei genitori sperando di sentire le loro voci, di sapere che sono ancora vivi.

Quella mattina del 24 febbraio ci ha svegliato la telefonata di mia madre: ‘’È scoppiata la guerra!’’. Erano le 4 del mattino. Ci sono passati sulla testa otto missili cruise. Quel suono sordo delle esplosioni, non lo dimenticherò mai, mai!

Mi mancano tanto le giornate normali, le serate in famiglia, quella serenità semplice, gli abbracci dei miei genitori. Spero che presto arriveremo davanti a casa con i miei bambini e mio marito sarà li ad aspettarci: ci abbracceremo più forte, più spesso.  Voglio incontrare amici e familiari tutte le volte che posso.

Noi ci daremo da fare e ricostruiremo il nostro paese ma voi dovete capire che prima bisogna che ci sia la pace; il mondo intero deve fare uno sforzo affinché quello che vediamo ora non accada mai più!

Chi non l’ha vissuto, non può capire cosa vuol dire non sopravvivere alla disperazione. Quando sei in mezzo alle bombe l’ansia e la paura ti divorano. Chi non ha sentito le esplosioni vicino alla propria casa, difficilmente capirà tutto il dolore che sta vivendo il popolo ucraino.

Siamo tanto grati a chi ci ha accolto. Qui a Sorrento ci siamo tranquillizzati perché ci sentiamo al sicuro, ma la mente va sempre ai nostri cari che sono laggiù, tra le bombe. La preoccupazione per amici e parenti non si placa mai.“ 

LESYA (Disarmo)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Lesya, ho 46 anni, vivo in una vivace cittadina di nome Bugom, nella regione di Vinnytsia. Ho un piccolo negozio di prodotti per capelli ad uso professionale; ho sempre amato rendere le donne più belle.

Quando è scoppiata la guerra eravamo tutti a casa. In un primo momento non avevamo nessuna intenzione di andarcene. Facevamo il pane per i combattenti, quelli che ci stavano difendendo e tessevamo reti di protezione. Ma quando hanno bombardato l’aeroporto della nostra città, il panico ha avuto la meglio! In 20 minuti abbiamo raccolto le poche cose che ci servivano e siamo partiti.  

Era la notte del 6 marzo. Abbiamo fatto tre giorni di strada, attraversato in auto cinque paesi. È stato un viaggio faticoso perché con noi c’era anche la famiglia di mio fratello: sua moglie con il maschietto di 8 anni e la femmina di 5 mesi. Siamo entrati prima in Moldavia, poi in Romania, abbiamo attraversato l’ Ungheria, poi ancora la Slovenia e finalmente il 9 marzo siamo arrivati in Italia. Abbiamo incontrato ovunque persone molto gentili che ci hanno aiutato tanto.

Siamo venuti da mia zia a Sorrento; qui abbiamo trovato un posto dove stare. 

Siamo molto grati alla sua famiglia e a tutti gli italiani che ci hanno aiutato offrendoci vestiti, pannolini e omogeneizzati.

Noi siamo state aiutate dalle sorelle dell’Oasi delle Madri della PACE.  Sono davvero meravigliose!

Mio marito lavora nelle costruzioni, è ancora in Ucraina con mio figlio. 

Vuoi sapere cosa stavo facendo quando è iniziata la guerra? Dormivamo tutti. Non dimenticherò mai la chiamata di mio figlio. Lui era già stato colpito dalle forze armate russe. 

In quel periodo non c’erano informazioni sull’attacco russo in Ucraina. Nonostante quel brutto risveglio siamo rimasti a casa per qualche giorno.

Vuoi sapere com’è? Te lo dico io che l’ho vista: la guerra è orribile! Non perdonerò e non dimenticherò mai gli omicidi e gli stupri di donne e bambini, le torture e tutto quello che hanno fatto quegli orchi. Non si possono nemmeno chiamare animali, perché gli animali non sono così crudeli.

Quanti dei nostri ragazzi sono morti, il nostro patrimonio genetico. Come si fa a perdonare!

Aspetterò la vittoria del nostro paese! Che la pace torni sull’Ucraina! 

Il nostro è un paese talmente bello. Voglio tornare a casa da mio marito, da mio figlio! Voglio vedere mio figlio vivo e in salute. Che tutte le madri aspettino il ritorno dei nostri difensori!”

JULIANA (Pane-Palianytsia)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Juliana, ho 27 anni. Vivo nella regione di Chernivtsi vicino alle montagne omonime con i miei due figli. Prima della guerra ero impegnata nella pasticceria. Per raggiungere il confine ho dovuto percorrere 5 km a piedi con i bambini, e poi 30 ore di bus per l’Italia. Tutti i miei parenti sono rimasti in Ucraina, e anche se siamo costantemente in contatto con loro sto soffrendo molto.  Non li avevo mai lasciati così a lungo.

Il giorno prima della guerra facevo al solito il mio lavoro. Il 24 febbraio la mia vita si è divisa in Prima e Dopo. Mi sembra di aver cancellato dalla memoria tutto ciò che c’era prima, quei giorni spensierati e felici. Dal 24 febbraio spero solo che questo orrore finisca presto. Quella mattina ci siamo svegliati di colpo e ci siamo preparati di corsa per andare a nasconderci in un rifugio antiaereo. Ogni giorno mi sento sopraffatta da così tante emozioni; sono più spaventata dalla sensazione d’incertezza. 

Il mio cuore soffre per ogni bambino ucciso, per ogni persona, per le migliaia di loro senza nessuna colpa. Sembra un film dell’orrore. Il cervello si rifiuta di credere che questa sia la realtà, che una cosa simile sia possibile, ma credo fermamente nel bene. Sono sicura che presto tutto finirà torneremo a incontrare i nostri parenti, torneremo alle nostre case!”

OLGA (Oranta di Kiev)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Olga. Sono di Kiev e ho 74 anni. In Ucraina facevo lavori domestici. Ho una figlia e tre nipoti.  Uno di loro è rimasto lì. Noi abbiamo viaggiato 4 giorni, prima in treno e poi su due autobus.

Ora viviamo nel sud d’ Italia.  Io che non avevo mai viaggiato. 

Non riesco ad immaginare i prossimi mesi, nemmeno i prossimi giorni, con mio nipote li.  Per fortuna lo sento al telefono. 

Quella mattina mi sono svegliata alle cinque con il rumore delle esplosioni.  La pace non c’era più. Non ci si può preparare a tutto questo. Ti prende alla sprovvista. 

Da quel giorno l’ansia è costante; la preoccupazione per quelli che sono rimasti intrappolati o in prima linea. 

Solo dopo una vittoria assoluta sarà possibile ripristinare la pace.

Chissà che fine hanno fatto i fiori sul mio balcone. 

La guerra non lascia solo i palazzi distrutti. Vengono distrutti anche i vivi solo perché qualcuno lo ha deciso.” 

OLENA (Propaganda)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Olena. Sono nata 38 anni fa a Kiev dove lavoravo come agente immobiliare. Sembra impossibile ora che i palazzi sono distrutti.  Ma come è potuto accadere nel 2022!

Sono arrivata qui con mia figlia. In macchina abbiamo attraversato Ungheria, Slovacchia e Austria.

Qui in Italia abbiamo ritrovato i nostri amici, ma il resto della famiglia è laggiù.

Capisci? In Ucraina ci sono mio marito, mio padre, mio fratello, i miei due zii, un cugino e le due nonne. Non posso stare nemmeno un giorno senza sentirli.

Quando è scoppiata la guerra era un giorno come un altro. Avrei dovuto fare cose di ordinaria amministrazione. E invece non è rimasto niente. Il dolore per la famiglia e per tutti noi ucraini ha travolto tutto. Sembra banale, ma i momenti con la famiglia è ciò che mi manca di più. In questo momento mi sembra la cosa più difficile da raggiungere.

La pace comincerà dalla nostra vittoria. Senza vittoria non ci sarà mai pace.

Chissà se tra un mese sarò ancora qui, o tra due. Voglio stare a casa mia. Ma lo dico sempre a mia figlia: dobbiamo essere forti perché non accada mai più, dobbiamo ricordare tutti coloro che ci hanno aiutato.”

KIRA (Futuro)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Kira e ho 6 anni, sono venuta con mia madre Olena a Sorrento e ho conosciuto Julia che é venuto a casa nostra con un palloncino giallo. Me lo sono legato alla mano perché non volasse via.

Ci ha invitate a fare delle foto da lei in studio. Mi sono divertita molto. Mi ha dipinto tutta di blu con uno spruzzo e mamma ha mandato il vento nei miei capelli.

Solo la doccia, dopo, non era proprio calda, ma non fa niente.

La fotografia mi é piaciuta molto, anche a mamma e papà e anche ai nostri amici.”

GAIA (Morte)

© Julia Krahn - St. Javelin

“Mi chiamo Gaia. Sono nata a Kiev 38 anni fa. Sono venuta in Italia con i miei due bimbi, Micha e Anna.

Prima della guerra mi occupavo soprattutto della mia piccola Anna, ma stavo progettando di riprendere gli studi. Riuscivo sempre a ritagliarmi un po’ di tempo per i libri e preparavo gli esami d’ingresso per studiare biologia.

Il 24 febbraio, quando abbiamo sentito bombardare Kiev, ci siamo trasferiti da mia mamma che vive in un piccolo paesino vicino Chernihiv, al confine con la Bielorussia. Eravamo sicuri che sarebbe durata poco. E invece è iniziato un incubo infinito. Non riuscivamo più a venire via.

Siamo rimasti li per tre settimane. Poi finalmente ci siamo uniti a un convoglio di 25 macchine.

Eravamo divisi in 5 gruppi. Passavamo per le strade secondarie, i boschi, le vie sterrate.

Dovevamo stare molto attenti alle mine. Potevamo saltare in aria da un momento all’altro. Quindi partiva sempre prima un gruppo e se non era successo niente aspettava il gruppo successivo più avanti. Questo stillicidio è durato 6 ore, il tempo che ci abbiamo messo per fare 80km.

Appena fuori dalla zona minata abbiamo iniziato a doverci nasconde dai missili. Ogni volta che sentivamo quel sibilo avvicinarsi dovevamo correre il più velocemente possibile fuori dalle macchine e ripararci nella radura.

Nell’ultimo tratto invece abbiamo attraversato un campo immenso dove prima erano passati i carri armati russi. Il terreno era pieno di fossi creati dal peso dei cingolati.

Le nostro auto normali non avrebbero potuto attraversarli ma per fortuna la notte precedente aveva fatto -15° e i campi erano ghiacciati. Il capo del convoglio era stato molto chiaro. Avremmo dovuto attraversare quella distesa nel minor tempo possibile e se fossimo entrati in un fosso avremmo dovuto abbandonare l’auto e proseguire a piedi.

In questo modo siamo riusciti ad arrivare a Kiev. Il giorno dopo siamo partiti per Mohyliv-Podils’ky, dai nostri parenti. Dopo altri due giorni abbiamo preso il pullman che andava da Chernivzi a Cracovia. Poi con i miei bambini ho preso un aereo per Bari e un autobus per Napoli dove mi aspettava la mia amica Natalya che mi ha portato a casa sua.

Ora vivo a Sorrento da lei. Ci conosciamo da venticinque anni. È la mia migliore amica, quasi una sorella.

Quando lei ha lasciato l’Ucraina per venire qui ci scrivevamo continuamente lettere. Allora non c’erano ancora i cellulari.

Oggi meno male posso sentire il resto della mia famiglia rimasta in Ucraina. Mio marito, mia mamma, le mie sorelle.

Quel mattino mi ritorna in mente di continuo. Non riuscivo a credere che ci fosse una guerra in atto. Mi ripetevo tutto il tempo: “Non è assolutamente possibile”. Vorrei tanto dimenticare quegli ultimi momenti dentro la mia casa quando, per le esplosioni, sembrava che tutto venisse giù con noi dentro. La casa tremava come se fosse stata di carta, proprio come noi per la paura.

Finché l’informazione non sarà veritiera la pace non sarà possibile. Finché non leggeremo notizie corrette non ci saranno speranze per la pace. Perché anche quei soldati che uccidono, lo fanno per un ideale, sbagliato si, ma pur sempre un ideale. Solo dopo essere arrivati a destinazione scoprono di essere stati mandati in guerra, ma ormai è troppo tardi.

Questa guerra non è come la Seconda Guerra Mondiale, quando non si poteva comunicare. Oggi sappiamo e vediamo tutto. Non si può negare l’evidenza. Non possiamo più risolvere i grandi problemi mondiali con la guerra.

Se prima senza testimonianze dirette ci potevano essere delle cattive interpretazioni dei fatti, ora con tutto quello a cui assistiamo, con le immagini che girano in tutto il mondo non è più possibile.

È tutto sotto i nostri occhi. Non si può fingere di non vedere.

Come si fa a capire un fatto cosi assurdo: una persona libera che ne uccide un’altra che pensa di essere libera e parla di libertà. Le persone che uccidono non sono mai libere.

Avere un ideale di liberazione che porta a uccidere una persona nella propria casa, uccidendo civili e bambini o torturando. Che gran voglia di piangere! Mi sento cosi impotente.

Io comunque spero che fra poco tutto sia finito e che torneremo a casa e a scuola e qui da Natalia verremo solo per le vacanze. Ma per ora stiamo qui ed aspettiamo. Almeno fino a settembre e poi decidiamo. Voglio prenderci tempo e pensare per un po’ a niente. Ogni giorno cambia tutto e non sappiamo quello che succederà domani. Non ce la facciamo più a vivere così.

La quotidianità ci manca tanto. Portare i bambini a scuola, le piccole cose insomma.

Mi manca fare programmi, per vacanze, feste, la vita nostra. Ah quanto mi manca la stabilità.

La scuola per i miei figli, non so dove studieranno il prossimo anno.

Dopo aver attraversato questo dolore niente è più come prima.

Apprezziamo tutto ciò che prima davamo per scontato. Quello che ritenevamo prezioso è scomparso e quello a cui non abbiamo dato importanza ora è cosi essenziale.

Come la Pace!

Anche se vivo qui sotto un bellissimo cielo blu senza nuvole, insieme alla mia famiglia, il mio cuore è in lutto per le persone che sono rimaste li, a casa mia.”

SASHA (432 Hertz)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Sasha. I am 21 years old. I am from Kiev. I worked, danced, talked with friends and made plans for the future. I’m still in Ukraine. I intend to go to Italy in the summer. I now live in a village near Lutsk. My family is in Italy. My father and grandfather stayed. Yes, sometimes we communicate. Everything is fine with them.

When the war broke out, I drew at night and thought I’d go to work in the morning.

I can’t forget that when I woke up at 5 in the morning from a strong explosion, it was a Russian rocket that fell a hundred meters from our house. In the morning, people started leaving the city and we sat down together and didn’t understand what to do. In the evening my boyfriend, my grandmother and my brother went to spend the night in an air raid shelter, it was very strange and morally difficult.

We spent 10 days there. It was scary at night. In the afternoon we went home to eat and feed the cat, and to rest for a while, because sleeping on the ground was physically difficult. Especially the elderly.There is a lack of confidence that everything will be fine tomorrow. Without live communication with friends and family it is really difficult. But we have to adapt.
I miss the subway, strange as it may seem. For the opportunity to go to the center, for the parties organized by my friends. Material things are less important to me.

First of all, you need to adjust to peace. It is very difficult now, because you see our people mocked and innocent people killed. It is impossible to step aside and say that “everything is fine”. War is terrible and we must understand that everyone can help. Who is material, who is morally supportive, to make the world around you better, because otherwise you can go crazy. Thoughts have a very strong effect on our reality. In addition, there are now many free services such as: learning foreign languages, psychological assistance, etc. This can be used (in the correct sense), you can start doing what you constantly postpone. “Then” may not happen.

It is very difficult to plan something now, but I sincerely believe that I will go to Italy with my family. Before then I want to go back to Kiev, see friends, go dancing. To do what I’ve always dreamed of.

I have always said that we, as a species, do not deserve such a beautiful Earth. People have everything to live and enjoy life. Now I am very grateful to our advocates, to the volunteers, to the people who go out of their way for the safety of ordinary citizens. Priceless. There is an attacker (Russia). And the propaganda they live in knows no bounds. The government, which says false things about the Ukrainian people, has no right to exist. This is hard to fight, because Russia is deliberately destroying its people so they don’t have time to think about more global things, like what’s happening now. Only a very small percentage of people ask themselves, “Are we really right if the whole world is against us now?” People live by inertia and don’t want to use their brains to analyze the situation. It shouldn’t be.

Everyone has the right to choose. What the Russian “soldiers” are doing to our people is unacceptable, horrible and there is no explanation. I will never understand how a person can sink into such a bottom. No animal will be violent just because he wants to have fun. And these are not people. People have souls. This is not “politics”, this is genocide. The worst part is that innocent people are dying. I can’t accept it.
 
At home I felt safe, of course, before the war started. Now it’s hard to imagine a safe place, because we don’t know where the next rocket will land. But I believe that soon we will be able to feel safe again, wherever we are.
Now I feel an emotional swing. The body and the brain have already adapted to the circumstances. I am in a quiet place where there is no active hostility. Yet, sometimes it hurts, the emptiness in the soul, which I can’t even explain. Therefore, it is important to ask for help at these times. This is correct and very valuable.”

Карина (Європа)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

«Мене звати Карина, мені дванадцять років. Я з Кропивницького. Моя сім’я складається з п’ятьох осіб: я, тато, мама і дві сестри, Христина і Єва. До війни я щодня ходила до школи: я була в п’ятому класі. Після обіду ходила на заняття фотрепіано і на танці. У вільний час займалась верховою їздою. Мій улюблений кінь називається «Молнія», що означає блискавка.

Коли ми були змушені покинути домівку мама пообіцяла, що ми будемо в Італії лише два або три місяці. Але як тільки ми приїхали, мама сказала правду: ми не повертатимемось допоки не закінчиться війна. Україна знаходиться за чотири дні автобусами та потягами звідси. Зараз ми живемо в Інституті Священного Серця в Сант’Агаті, нас прийняли черниці. Мама і сестра живуть тут зі мною, в той час як зведена сестра живе зі своєю мамою в Німеччині. Мій тато залишився в Україні захищати наш дім. Там залишились мої тьотя і два двоюрідні брати, а ще мої тваринки – собачки Челсі та Персик.

Мені дуже не вистачає їх усіх.

Мама каже, що вони кожен день ризикують життям і що повинні ховатися під час повітряних тривог.

24 лютого я мала йти до школи. Мама розбудила нас із сестрою кажучи, що почалася війна. Вона сказала нам покласти в сумки найнеобхідніше і взяти лише одну річ, яка нам дуже дорога. Ми зібрали їжу в коробки, щоб мати що їсти на випадок, якщо доведеться утікати. Того дня ми не знали чи виживемо. Нас було п’ятеро: я, сестра, два двоюрідних брата і сусідський хлопчик. Батьки сказали заховатися в коридорі під фортепіано. Накрили нас ковдрами і закрили вікна скотчем та іншими ковдрами.

Я дуже сумую за моїми собаками і конем. Я дуже люблю тварин. На жаль, я вже зрозуміла що війна не закінчиться швидко, і що не зможу повернутися додому найближчим часом, тож я пристосовуюся до життя в Італії: війна навчила мене не думати надто наперед. Потрібно якнайшвидше відбудувати школи та інші освітні заклади і навчати дітей хорошого, тому що війна це — зло, яке приносить лише біль і горе. На війні люди вбивають один одного і це викликає жахливі почуття. Коли я була в Україні я боялася що війна зайде і в мою кімнату, тому тепер, коли я в безпеці, я повинна бути спокійною. Натомість мені дуже не вистачає мого дому.»

VIKTORIA AND ZLATA (Peace)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Viktoria. I was born twenty-three years ago in Lviv. From there on February 25th I left with my only child, my mother and my sister. The Polish border is nearby, so we thought it would be easy to leave. Instead, we traveled two hours to Mostys’ka and from there our nightmare began.

We had to leave the car because there were 40 kilometers of queuing to get out of the city. With our few things we walked towards the border on foot. A long night that will be impossible to forget.

Once we crossed the border we relied on chance. We arrived in Italy by plane and then by bus to Sorrento.

I always think of my father, husband and grandparents who keep hearing the terrible sound of the air raid alarm. That morning the siren went on nonstop. It was still dark, that high-pitched whistle woke us up. I remember the anxiety for my life and that of my family members.

Now, however, that same anxiety is superimposed on the pain. Every day when I read the news, I can’t hold back the tears. I repeat to myself that it is relatively quiet in Lviv, but tears flow.

If I think that before the war I was a cheerleader, I coached the kids who did gymnastics. I was there to encourage them.

I think our enemy is war and that to defeat it we should start changing ourselves, our country from within.

The war must be stopped. If we don’t stop it now, our children will have to.

I, on the other hand, want a better future for my son, I want a job that allows me to raise him!”

 
 

“I am Zlata-Maria and I am eight years old. My ears hurt when the sirens started blaring. My sister took us from Lviv to Sorrento, first on foot and then by plane.

She and I were always together, she taught me how to be a cheerleader.

This time, however, she returned to Ukraine, where dad is. With mom we video call them every day. She is always very anxious, afraid for them and wants to see them. I miss them so much, but I also think about my friends and my toys. I like it a lot here, especially because they don’t give us homework to do at school.”

ALEKSANDRA (8 march)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Alexandra, I’m from Rivne, in the northwest of Ukraine. I’m 27 years old and have a 7yearold son.

Before the war I worked in the reception of a large hotel with a restaurant. I liked my job.

On February 28th, the fourth day of the war, we drove to my relatives in Ivano Frankivsk, which is closer to the border.

The next day we left by bus for Wroclaw, in the west of Poland. We arrived at the border at 7 in the morning. We had to wait 15 hours, because there were more than eight buses in line with women and children. At midnight we reached our destination. I had already booked the plane tickets and the room for my son and me from Ukraine. Getting off the bus, I found a taxi that took us to the hostel. We stayed in Poland for 3 nights, and on March 8th we flew to Naples. Now I live in Meta di Sorrento.

My whole family was already here in Italy, only my grandmother stayed back.

We spoke a lot on the phone. I would calm down only after hearing her voice.

The day the war started I was going about my usual routine, like most people. Up until that moment, no one believed it would have really happened. After all, we had always lived in times of peace.

I remember the disturbing sound of sirens and the crowding of people in the shelter, who were at the same time confused and overstimulated. I remember to come to Italy there was a checkpoint at every intersection of the city, with infinite checks up until our departure.

I have a nostalgia for the times together with my friends and family, and I know it will never be the same as it was. Some of them went to fight, some have died, and some no one has heard from. I moved to another country like the people I spent most of my life with. None of us know if we’ll see each other again.

My son and I took only the essentials: ​​some clothes and documents. All crammed into a small suitcase. Then I took my cross, without which I wouldn’t go anywhere. My son and I always say to each other: it is our amulet, which has protected us from all of the bad we might have encountered on our journey.

You know what I think? That the restoration of peace and tranquility must begin above all with the human soul. Peace is a great value, the object of our hopes that all people should strive for. War begins with intolerance of others, of differences. It is what leads to the desire for omnipotence and domination. It is born in the heart of man, from selfishness, pride, and hatred that distorts the vision of the world and puts it in a different, negative light. Distrust and fear damage relationships between people and increase the risk of violence, creating a vicious circle that can never lead to peaceful relationships. We all come from a common origin, from God. The will to restore peace and calm must start from each one of us.

I must confess that in the short term I imagine myself rich. I’m not ashamed to say it. Rich not only on the material level, but with a life full of happenings, great aims, with the pleasant worries of each day. I will enrich myself by seeking new friends, with the family that I already have close to me, in complete safety. I imagine myself happy, with a confident smile, because I am confident that everything will be fine. I dream, like everyone else, that there is no more war in my country, that people do not die. I know that not all of my dreams will come true at once, but I want to imagine that in a month there will be no more of these tears of pain and misery in my life!

Everyone should understand that war deeply affects each of our lives. In an instant, everything can change. Anyone who has plans or ambitions or dreams for the future finds oneself having to put them in the background. When bullets fly into your homeland, bombs explode, and missiles hit residential buildings, you only think about surviving and staying healthy, and the future has no more certainties to hold on to. Instead everyone should be able to have faith in tomorrow. In any case, it is necessary to reconsider the values in our lives, wherever we are. Because in today’s world we don’t pay enough attention to what actually, in extreme moments like war, becomes fundamental. Love, attention, and sensitivity to others, to those around us.

I just can’t bring myself to understand how 21st century men and women cannot resolve issues peacefully, without tears or bloodshed and death. God gave everyone the right to life. The time we have is so short. Are we sure that we want to waste it over conflicts and wars, instead of living it in mutual understanding and harmony?

When I was at home, at the beginning of the war, I went from fear to desparation then to anxiety and then finally to uncertainty. Sensations that I had never fully experienced before. The feeling of helplessness was terrible, not even knowing where to go or what to do.

I feel much better now. I sleep more peacefully, knowing that all my relatives are safe near me. I am grateful to the country that gave me refuge and to all those people I felt close to me, who supported me in that difficult moment. They supported me and helped me to stabilize my frame of mind, to regain confidence and points of reference, to take a direction in my life that allows me to understand what I need to do in order to have a better tomorrow! “

MARINA (Motherhood)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Marina, and I’m 32 years old. I come from Vinnyatsia, in western Ukraine. Before the war I became a mother for the second time. When we escaped from the bombs, my youngest was only 4 months old.

I drove for four days and crossed four different countries to get to Italy. The rest of my family remained in Ukraine. Every morning I call my husband and my parents, hoping to hear their voices to know that they are still alive.

That morning of February 24th, we were awakened by a phone call from my mother: “The war has broken out!” It was 4 in the morning. Eight cruise missiles passed over our heads. That dull sound of explosions, I’ll never, ever forget it!

I miss normal days so much, evenings with family, that simple serenity, the hugs of my parents. I hope that soon we will arrive in front of our house with my children and my husband will be there waiting for us: we will hug each other harder, more often. I want to get together with friends and family as often as I can.

We will work hard and rebuild our country, but you must understand that first there must be peace; the whole world must make an effort so that what we see now never happens again!

Those who have not lived through it cannot understand what it means to not survive despair. When you are in the midst of bombs, anxiety and fear devour you. Those who have not heard explosions near their own home can hardly understand all of the pain that the Ukrainian people are experiencing.

We are so grateful to those who have welcomed us. Here in Sorrento we have been relieved because we feel safe, but our minds are always on our loved ones who are over there, among the bombs. The worry for friends and relatives never subsides. “

LESYA (Disarmament)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Lesya. I am 46 years old. I live in a lively town called Bugom, in the Vinnytsia region. I have a small shop for professional hair products; I’ve always loved making women more beautiful.

We were all at home when the war broke out. At first we had no intention of leaving. We made bread for the fighters, those who were defending us, and we wove nets for protection. But when they bombed our city’s airport, panic won! In 20 minutes we collected the few things we needed and left.

It was the night of March 6th. We traveled on the road for three days, driving through five countries. It was a tiring journey because my brother’s family was also with us: his wife with their 8-year-old boy and 5-month-old girl. We entered Moldova first, then Romania. We crossed Hungary, then still Slovenia, and finally on March 9th we arrived in Italy. We met very kind people everywhere who helped us a lot.

We came to my aunt’s in Sorrento; here we found a place to stay.

We are very grateful to her family and to all of the Italians who have helped us by offering us clothes, diapers, and baby food.

We have been helped by the sisters of the Oasis of the Mothers of PEACE. They are truly wonderful!

My husband works in construction. He is still in Ukraine with my son.

Do you want to know what I was doing when the war started? We were all sleeping. I will never forget my son’s call. He had already been hit by the Russian armed forces.

At that time there was no information on the Russian attack on Ukraine. Despite that terrible awakening, we stayed home for a few days.

Do you want to know how it is? I will tell you as one who saw it: war is horrible! I will never forgive nor forget the murders and rapes of women and children, the torture, and all that those ogres did. They can’t even be called animals because animals aren’t that cruel.

How many of our kids have died, our genetic heritage. How can you forgive that!

I will wait for the victory of our country! Peace return to Ukraine!

We have such a beautiful country. I want to go home to my husband, to my son! I want to see my son alive and healthy. May all mothers await the return of our defenders!”

JULIANA (Palianytsia)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

My name is Juliana. I’m 27. I live with my two children in the region of Chernivtsi near the mountains of the same name. Before the war I was working hard in the bakery. To reach the border I had to travel 5 kilometers on foot with my children and then 30 hours by bus to Italy. All of my relatives stayed in Ukraine, and even if we are constantly in contact with them, I am suffering a lot. I have never left them for such a long time.  

The day before the war, I was doing my work as usual. February 24th my life became divided in Before and After. It feels like having erased from memory all that there was before, those carefree and happy days. Since February 24th, my only hope has been that this horror comes to an end soon. That morning we woke up suddenly and got ready in a hurry to go to hide in an air raid shelter. Every day I feel overcome by so many emotions; I am most scared by the feeling of uncertainty.

My heart suffers for each child killed, per each person, per thousands of them without any fault. It seems like a horror film. My brain refuses to believe that this is reality, that something like this is even possible, but I firmly believe in good. I am sure that soon all will finish and we will return to see our families, return to our homes! “

OLGA (Orants of Kyiv)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Olga. I am from Kiev, and I am 74 years old. In Ukraine I did housework. I have a daughter and three grandchildren. One of them stayed back. We traveled for four days, first by train and then on two buses.

We now live in southern Italy. I who have never traveled.

I can’t imagine the next few months, not even the next few days, with my grandchild there. Luckily, I hear from him on the phone.

That morning I woke up at 5 to the sound of explosions. Peace was gone. We could not have prepared ourselves for all of this. It catches you off guard.

From that day on, anxiety has been constant; the concern for those trapped or on the front lines.

Only after an absolute victory will it be possible to restore peace.

Who knows what happened to the flowers on my balcony.

War doesn’t just leave the buildings destroyed. Even the living are destroyed just because someone has decided so. “

OLENA (Media)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Olena. I was born 38 years ago in Kiev where I worked as a real estate agent. It seems impossible that now the buildings are destroyed. But how could this happen in 2022!

I came here with my daughter. We drove through Hungary, Slovakia, and Austria.

Here in Italy we have found our friends, but the rest of our family is still over there.

Do you understand? In Ukraine there are my husband, my father, my brother, my two uncles, a cousin, and both of my grandmothers. I can’t go even one day without hearing from them.

When the war broke out it was a day like any other. I should have done business as usual. But instead, there is nothing left. The pain for our family and for all of us Ukrainians has devastated everything. It sounds trivial, but moments with family is what I miss the most. In this moment it seems like the most difficult thing to reach.

Peace will begin with our victory. Without victory there will never be peace.

Who knows if I will still be here in a month, or in two. I want to be in my home. But I always tell my daughter: we must be strong so that it never happens again, we must remember all those who have helped us.”

KIRA (Future)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Kira, and I’m 6 years old. I came with my mom Olena to Sorrento, and I met Julia, who came to our house with a yellow balloon. I tied it to my hand so it wouldn’t fly away.

She invited us to take some photos in her studio. I had a lot of fun. She painted me all blue with a spray, and Mommy sent the wind in my hair.

Just the shower afterwards wasn’t exactly hot, but it’s no big deal.

I liked the photograph a lot, so did Mommy and Daddy and our friends, too.”

GAIA (Death)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Gaia. I was born in Kiev 38 years ago. I came to Italy with my two kids, Micha and Anna.

Before the war I was mostly occupied with my little Anna, but I was planning to resume my studies. I was always able to carve out some time for books, and I was preparing for the entrance exams to study biology.

On February 24th, when we heard Kiev being bombed, we moved in with my mom, who lives in a small village near Chernihiv, on the border with Belarus. We were sure it would not have lasted long, but instead an endless nightmare began. We could no longer leave.

We stayed there for three weeks. Then finally, we joined a convoy of 25 cars.

We were divided into 5 groups. We passed along secondary roads, through the woods, along dirt roads.

We had to be very careful with mines. We could blow up from one moment to the next. So one group always left first, and if nothing had happened, it waited ahead for the next group. This series lasted 6 hours, the time it took us to do 80km.

As soon as we got out of the mine zone, we had to start hiding from the missiles. Whenever we heard that hiss approaching, we had to run as fast as possible out of the cars and take cover in the clearing.

In the last stretch, however, we crossed an immense field where Russian tanks had previously passed. The ground was filled with ditches created by the weight of the tracks.

Our normal cars could not have crossed them, but luckily the night before it had been -15 ° and the fields were frozen. The leader of the convoy had been very clear. We had to cross that stretch as quickly as possible, and if we had entered a ditch, we would have had to leave the car and continue on foot.

In this way we managed to get to Kiev. The next day we left for Mohyliv-Podils’ky, to our relatives’. After another two days we took the bus that went from from Chernivzi to Krakow. Then with my children I took a plane to Bari and a bus to Naples, where my friend Natalya was waiting for me and took me to her house.

Now I live in Sorrento with her. We have known each other for twenty-five years. She is my best friend, almost a sister.

When she left Ukraine to come here, we were constantly writing letters to each other. At that time, there were still no cell phones.

Today, thank goodness I can hear from the rest of my family who stayed in Ukrainemy husband, my mom, my sisters.

That morning comes back to mind over and over again. I couldn’t believe there was a war in action. I kept saying to myself all the time: “It is absolutely not possible.” I would love to forget those last moments inside my house when, due to the explosions, it seemed like everything was going to come down with us inside. As if it were made of paper, the house was shaking, just like us from fear.

As long as the information is not truthful, peace will not be possible. As long as we do not read correct news, there will be no hope for peace. Because even those soldiers who kill do it for an ideal, a wrong one yes, but still an ideal. Only after arriving at their destination do they discover that they have been sent to war, but by then it is too late.

This war is not like World War II, when you couldn’t communicate. Today we know and see everything. The evidence cannot be denied. We can no longer resolve major world issues with war.

If before without direct evidence there could have been incorrect interpretations of the facts, now with everything we witness, with the images that go all around the world, it is no longer possible.

It is all in front of our eyes. You cannot pretend to not see.

How do you understand such an absurd fact: a free person who kills another, thinks he is free, and talks about freedom. People who kill are never free.

Having an ideal of liberation that leads to killing a person in their own home, killing civilians and children, or torturing. How much I want to cry! I feel so helpless.

Even so, I hope that soon everything is over and that we return home and to school and we come to Natalia’s only on vacations. But for now we stay here and wait. At least until September and then we will decide. I want to take time and think about nothing for a while. Every day everything changes and we don’t know what will happen tomorrow. We can’t live like this anymore.

We miss everyday life so much. Bringing the children to school, the little things basically.

I miss making plans: for vacations, parties, our life. Ah how much I miss stability.

The school for my children, I don’t know where they will study next year.

After going through this pain, nothing is as it was before.

We appreciate everything that before we took for granted. What we thought to be precious has disappeared and what we didn’t give much importance to is now so essential.

Like Peace!”

KARINA (Europe)

© Julia Krahn - ST. JAVELIN

“My name is Karina, I am twelve years old. I come from Kropyvnytsky. My family consists of me, dad, mom and two sisters, Kristina and Eva.
Before the war I went to school every day: I was in the fifth grade. In the afternoon I took piano and dance lessons. Then in my free time I went horse riding. My favorite horse is called «Molniya» which means lightning.

When we left, my mum had promised me that we would only stay in Italy for two or three months. But as soon as we arrived she told me the truth, that is that we won’t be returning until the end of the war. Ukraine is four days from here, between train and bus. Now we live in the Sacred Heart Institute in Sant’Agata, where the nuns have hosted us. My mother and sister live here with me, while my half-sister stays with her mother in Germany. My father stayed in Ukraine to defend our home.
There are my aunt and my two cousins and also my animals. My little dogs Chelsea and Persyk.
I miss everyone so much.


Mom says they risk their lives every day and have to hide during the air raid raids.
I was supposed to go to school on February 24th. My mom woke up my sister and me announcing the start of the war. He told us to put the indispensable things in a bag and that we could only take one of the things we cared about a lot. Afterwards we collected the food in boxes, to have something to eat in case we were forced to flee. That day we did not know if we would survive.


There were five of us: me, my sister, two of my cousins and the neighbour’s baby. My parents made us hide in the corridor and then run under the piano. They put warm blankets on us and then sealed all the windows with tape and other blankets.
I miss my horse and my dogs so much. I love animals very much.


By now I understood that the war won’t end right away and I won’t be going home soon, so I’m adjusting to living in Italy. The war taught me not to think too far ahead. Schools and all other educational structures must be repaired immediately and children must be taught good, because war is evil and only brings pain. In war people kill other people and cause terrible feelings. When I was in Ukraine I was afraid that the war would come inside my room, so now that I’m safe I should be calm. But I really miss my home.”